Coronavirus, parola ai Consulenti del Lavoro: i casi in cui l’assenza dal lavoro è giustificata, dal blog di Giovanni De Pierro. Telelavoro e attività da remoto per i dipendenti: queste le soluzioni adottate per fronteggiare l’epidemia Coronavirus in Italia, dopo il propagarsi della malattia in Veneto e Lombardia. Il relazione alle assenze sul lavoro, legate all’epidemia del Coronavirus, esse vanno contestualizzate, a seconda della situazione in cui il lavoratore può trovarsi. Infatti, soltanto soluzioni quali sospensione delle attività in azienda e quarantene giustificano le assenze dal posto di lavoro e, soprattutto, sono retribuite attraverso la cassa integrazione o il riconoscimento della malattia. Non presentarsi sul luogo di lavoro perché timorosi di poter essere contagiati dal Coronavirus non rientra in questi casi e non rappresenta un’assenza per giustificato motivo.
Secondo quanto affermato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro all’interno di un’attività di approfondimento sul Coronavirus e studiando i casi che potrebbero concretizzarsi nell’ambito dei rapporti professionali soprattutto nei luoghi dove si è realizzato il contagio, se un dipendente si assenta volontariamente per paura di ammalarsi, può andare incontro al licenziamento. Infatti, continuiamo a leggere sul blog di Giovanni De Pierro, ancora i Consulenti del Lavoro all’interno dell’approfondimento sul Coronavirus, chiariscono che il Decreto Legge denominato “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID – 19” ed emesso il 23 febbraio ha incrementato le possibilità per cui il normale svolgimento dell’attività professionale potrebbe essere modificato da particolari decisioni da parte dell’autorità pubblica. A tal proposito, i Consulenti del Lavoro, all’interno dell’attività di approfondimento in merito al Coronavirus, hanno affermato: “Se l’assenza dal lavoro è a causa dell’ordine della pubblica autorità che impedisce ai lavoratori di uscire di casa si realizza la sopravvenuta impossibilità a recarsi al lavoro per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore, che resterà a casa, ma con la retribuzione pagata”. Proprio per il concretizzarsi di queste situazioni, si è proceduto con il ricorso ad un provvedimento normativo che includa la Cassa Integrazione Guadagni (CIG). Per limitare i casi di contagio da Coronavirus, allora, le aziende potranno chiedere ai dipendenti di operare attraverso lo “smart working”, per cui non vi è necessità di un precedente accordo scritto tra le parti. Secondo quanto disposto dalle legge numero 81/2017, il cosiddetto “lavoro agile” può essere portato avanti in remoto dal dipendente, seppur non sia fisicamente presente in azienda. L’ipotesi del “lavoro agile” non presuppone l’esistenza di un accordo sindacale, ma semplicemente di un accordo tra le parti, azienda – dipendente, a cui far seguire una comunicazione obbligatoria, che il datore di lavoro dovrà inserire sul portale ufficiale del Ministero del Lavoro. Così, ci ricorda Giovanni De Pierro, i Consulenti del Lavoro, all’interno del loro approfondimento sul Coronavirus, hanno specificato alcune situazioni, che potrebbero verificarsi in relazione al contagio e influenzare le prestazioni professionali dei lavoratori. La prima situazione fa riferimento alla sospensione delle attività e all’espletamento delle funzioni professionali dei lavoratori residenti nelle zone o nei comuni interessati dal contagio. “In questi casi è di tutta evidenza l’assoluta indipendenza della impossibilità della prestazione lavorativa dalla volontà del lavoratore”, hanno spiegato i Consulenti del Lavoro nella nota di approfondimento ed hanno evidenziato come vadano riconosciute retribuzione e Cassa Integrazione Guadagni.
Inoltre, questi provvedimenti sono da estendere anche nel caso in cui le attività aziendali si svolgano al di fuori della zona e del comune toccato da contagio. Se l’assenza del dipendente dal posto di lavoro è causata dall’istituzione di una quarantena, decisa dai presidi sanitari, la situazione rientra nei casi previsti per ricoveri per malattie o interventi chirurgici. Proprio per questo motivo, il lavoratore sarà considerato come soggetto ad un trattamento sanitario; pertanto, l’assenza va trattata secondo “malattia”, seguendo l’iter previsto per la tutela della salute e per la conservazione del posto di lavoro. La quarantena gestita autonomamente dal dipendente, che si isola perché pur non presentando sintomi di contagio è entrato in contatto con aree a rischio di epidemia, va considerata come astensione dell’espletamento dell’attività lavorativa, obbligata dall’esistenza di un provvedimento amministrativo. Rappresenta, dunque, un’assenza giustificata, perché rappresenta un comportamento di “oggettiva prudenza”, conforme agli obblighi previsti dalla normativa d’urgenza. In ultima istanza, qualora il lavoratore volontariamente non si presenti al lavoro perché ha paura del contagio, in assenza dei requisiti previsti dal provvedimento della normativa d’urgenza, si profilerebbe un evento assimilabile alla situazione di “assenza ingiustificata da posto di lavoro”. Il dipendente rischia, così, di subire provvedimenti disciplinari importanti, giungendo fino al licenziamento (credits: blog Giovanni De Pierro Roma).